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mercoledì 20 aprile 2011

La neve (2)

Torno a scrivere della neve. Costretto a farlo dalle cose della vita. 

Rischio di andare fuori tempo, ché già il nostro pensiero è rivolto alle meraviglie dell'estate, mentre il corpo indugia sulla primavera, come stesse decidendo se pisciare o meno sui prati verdi e ridenti di una stagione di passaggio. 


Intirizzito dal freddo, allo stremo delle forze, solo nel folto delle tenebre, solo nella profondità della neve, solo nella vertigine della sua solitudine, solo nel suo silenzio, laddove avrebbe potuto morire cento volte di freddo, di fame, di fatica, di delusione e di stanchezza, sopravvisse.
Sopravvisse perché ciò che vide quella notte, quella cosa, quella straordinaria cosa venuta anch'essa dall'altra sponda del reale, quella cosa sublime e bella era la più bella e sublime immagine che mai gli fosse stato concesso di vedere in tutta la sua vita.

Yuko, il poeta della neve del libro "Neve" di Maxence Fermine, si salvò quella notte grazie alla visione di Neve, una donna che riposava sepolta sotto un metro di ghiaccio.

In vita Neve era stata una funambola. 

Era diventata una funambola per amore dell'equilibrio. Lei, la cui vita si svolgeva come un filo tortuoso, disseminato di viluppi che intrecciavano e scioglievano tra loro sinuosità della sorte e insipidezza dell'esistenza, eccelleva nell'arte sottile e insidiosa del fare evoluzioni su di una fune tesa [...] Era il suo destino. Avanzare passo dopo passo [...] Soffio dopo soffio, silenzio dopo silenzio. Di vertigine in vertigine [...]
Da un capo all'altro della vita.






Patrizia Laquidara questo libro deve averlo letto.

Comunque sia, torniamo a noi. C'è sempre una donna nel cuore di un poeta.


Si, una donna. Perché l'amore è l'arte più difficile.
E scrivere, danzare, comporre, dipingere, sono la stessa cosa che amare.
Funambolismi. La cosa più difficile è avanzare senza cadere.


Yuko questo non lo capì subito. Aveva sempre considerato la poesia in maniera diversa, eppure affascinante.


 Un mistero ineffabile.
Un mattino, il rumore della brocca dell'acqua che si spacca fa germogliare nella testa una goccia di poesia, risveglia l'animo e gli conferisce la sua bellezza. 
E' il momento di dire l'indicibile. 
E' il momento di viaggiare senza muoversi. 
E' il momento di diventare poeti. Non abbellire niente. Non parlare. Guardare e scrivere. Con poche parole. Diciassette sillabe. Un haiku.
Un mattino, ci si sveglia. E' il momento di ritirarsi dal mondo, per meglio sbalordirsene.
Un mattino, si prende il tempo per guardarsi vivere. 


Per intenderci:

Si spacca la brocca d'acqua
(Stanotte ha gelato)
Mi desta

Basho


Mi pare che, come Yuko, un po' tutti i poeti vaghino, per un certo tempo, senza averne consapevolezza alcuna.

Poi c'è l'amore, e tutto cambia. E le parole diventano arte.

Perché ? In verità il poeta, il vero poeta, possiede l'arte del funambolo.
Scrivere è avanzare parola dopo parola su un filo di bellezza, il filo di una poesia, di un'opera, di una storia adagiata su carta di seta. 
Scrivere è avanzare passo dopo passo, pagina dopo pagina, sul cammino del libro. Il difficile non è elevarsi dal suolo e mantenersi in equilibrio sul filo del linguaggio, aiutato dal bilanciere della penna. 
Non è neppure andar dritto su una linea continua e talvolta interrotta da vertigini effimere quanto la cascata si una virgola o l'ostacolo di un punto.
No, il difficile, per il poeta, è rimanere costantemente su quel filo che è la scrittura,
 vivere ogni ora della vita all'altezza del proprio sogno, 
non scendere mai, neppure per qualche istante, dalla corda dell'immaginazione.
 In verità, il difficile è diventare funambolo della parola.



Quando Yuko comprese, ne rimase segnato. 
Esattamente come è accaduto a me, che cerco sempre la poesia e mi sorprendo ogni volta di trovarla nella mia vita.

Chiedo aiuto al dio della temerarietà, che mi protegga dalle ire del dio della letteratura e della poesia, che possa aver clemenza per ciò che ho fatto, di aver imbrattato con le mie parole quelle assolute (distinguibili facilmente ma è giusto che lo sottolinei, in corsivo) di Maxence Fermine, che ha scritto un racconto che è per intero poesia.

Ancora qui a parlare di neve dunque. Secondo capitolo di una trilogia che prima o poi si completerà. Perché ? E che ne so, non chiedetelo a me.


La neve è una poesia.
Una poesia che cade dalle nuvole in fiocchi bianchi e leggeri. 
Questa poesia arriva dalle labbra del cielo, 
dalla mano di Dio.


Maxence Fermine, Neve, "e si amarono l'un l'altro sospesi su un filo di neve"
















11 commenti:

  1. ...molto "intimo" questo post.

    ...la neve è affascinante ....ma come "tutto"... solo se si guarda con gli occhi pronti a coglierne il fascino.

    ...voglio proprio "vedere" il seguito....sia mai che sia più di una trilogia.:)

    ...se vuoi puoi vedere le mie foto con la neve.
    http://semplicidee.blogspot.com/2010/12/paesaggipassaggi-di-luce.html
    ciaooo Vania

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  2. grazie per seguirmi.
    ti seguo anche io.
    ma sono troppo nel turbine per leggere il tuo blog adesso.
    ma passerò.
    prometto.

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  3. Vania: si, è intimo. Quando uno scrive succede. Ho visto le foto, cogli una particolare declinazione del sentimento della neve, con un tocco di femminilità.

    Marianna: non ho fretta.

    A entrambe, grazie

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  4. Lieta di fare la tua conoscenza...e grazie di esserti soffermato dalle mie parti...
    Ricambio volentieri... mi piace ciò che scrivi!

    PS: La poesia è anima, le parole, sono la voce della sua intimità...

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  5. Mi piace come usi parole, pensieri, sentimenti. Mi piace come ti mantieni in equilibrio su questa fune tesa. Molto bello il tuo blog.

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  6. Grazie Circe, mi fanno piacere i complimenti. Assieme alle critiche mi aiutano a mantenere l'equilibrio.

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  7. lo hai dunque letto ...bene..
    le anime si avvicinano quando si nutrono delle stesse parole...

    un sorriso...

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  8. Anonimo: cominci a sorprendermi. Usi le parole in modo che mi arrivino.

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