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martedì 24 dicembre 2019

Tutte le vigilie

Le vigilie di Natale sono sempre diverse. Non ce n'è mai una che sia uguale all'altra. E questo perché trascorrono gli anni, cambiano situazioni e contesti. Cambiamo noi. E allora una vigilia è triste perché ci sentiamo nostalgici, un'altra ci appare luminosa perché siamo pieni di energia e nuovi propositi, e un'altra ancora felice, così, senza motivo, soltanto perché ci sentiamo felici, ecco tutto. Ché non c'è per forza bisogno di trovare una ragione per essere felici. E anche vero d'altra parte che le vigilie di Natale sono pure uguali. C'è un sentimento comune che le rende simili. Mai come la vigilia di Natale sentiamo il bisogno, più o meno consapevole, di raccoglierci attorno a un fuoco assieme alle persone che per noi contano davvero. E vedete, non è che sia così importante che quel fuoco ci sia veramente, magari dentro a un camino, no. Ciò che è importante è trovare l'emozione di un sorriso sincero, il racconto di una storia avvincente che leggiamo in un volto illuminato dalle luci di un albero colorato o di una candela piuttosto che dalla luce piatta di un iphone. L'esigenza che sentiamo, ad ogni vigilia, è quella di dare e ricevere calore. Come per un bisogno di conciliazione, con gli altri, certo, ma forse, ancor prima, coi fantasmi che ci portiamo dentro. E allora, a prescindere dal senso che attribuiamo a questa festa, che sia religioso o meno, è questo che vi auguro. Di vivere questo giorno di conciliazione, conciliati. :) Buona vigilia!


domenica 27 ottobre 2019

Io e te, soli

Dunque è arrivato il momento dei disvelamenti. Scrivo qui dal 2011, e sono affezionato alla perifrasi "Tra cenere e terra" che da sempre ha segnato i miei scritti.  Quando ho creato il blog, ho pensato che fosse opportuno celare la mia identità di scrittore, ma per una ragione che aveva poco a che fare con il timore o la vergogna. Ho pensato infatti che nell'atto dello scrivere, ciò che veramente valesse la pena mettere in evidenza, fosse il contenuto dello scritto. Insomma cosa importava chi avesse scritto questo o quello, l'importante era dare sfogo alla espressione dei sentimenti, dipingere le atmosfere dell'anima. Attraverso i miei scritti, il lettore avrebbe potuto immedesimarsi in stati d'animo che ritenevo poetici, poiché tratti dall'esistenza e capaci forse di donare un senso all'esistenza, alla mia, come anche a quella degli altri. Calvino sosteneva che bisogna cercare in mezzo all'inferno ciò che inferno non è, e dargli spazio, e farlo durare. Allo stesso modo ho cercato, mosso dai sentimenti di una perifrasi evocativa, di arrivare a voi attraverso la mia vita, i testi che ho letto, le musiche che ho scelto, gli incontri che ho fatto. Con un obiettivo, quello di portarvi tutto ciò che della vostra vita non riuscite adeguatamente ad apprezzare perché schiacciati dalla fretta del vivere, dalle esigenze dell'ego, dalla paura profonda di riscoprirsi fragili. Attraverso un pensiero, una perla che tocca il cuore, un testo particolarmente significativo. Una poesia. Credo che la perifrasi in questo mi abbia aiutato parecchio. Ma dietro la perifrasi, vedete, c'è un nome. Ho quasi quarant'anni, non sono più il ragazzino sprovveduto di prima. Ho fatto i conti con l'amore e i sogni, e poi ho fatto i conti con la realtà. Ho scritto tante poesie, diversi racconti, un romanzo, e a volte ciò che ho scritto è piaciuto, è stato pubblicato, per quanto questo possa valere, mentre altre volte no. In questa che chiamo la "seconda vita" del mio blog, intendo rispolverare alcuni dei miei scritti. E soprattutto scelgo di svelare il mio nome, perché penso che svelare il proprio nome abbia un senso, per definire ciò che siamo e cosa intendiamo fare della nostra vita. In questo spero di esservi da esempio. Non abbiate paura di svelarvi. 

La prima poesia che pubblico, è anche la prima che ho scritto. E' una poesia molto breve, come tutte quelle degli inizi. Si chiama "Io e te, soli". E' inutile dirvi che tutto ciò che ho scritto è protetto dai diritti d'autore, oltre che dai segreti della mia anima. 

Buon viaggio. 






mercoledì 31 luglio 2019

Il silenzo degli innocenti


Non vuole essere la celebrazione di un film. Riflettevo sul titolo, su come alcune volte gli innocenti siano persone costrette al silenzio. Persone che non hanno più il fiato di gridare. Vittime private della parola, esseri senzienti abbandonati al proprio dolore. Chiunque gridi a squarciagola raggiungerà prima o poi il limite che è iscritto nelle corde vocali, e cederà, si, cederà, come cede il pianto di un bambino all'indifferenza della madre. 


Chi ha sofferto troppo, chi ha subito tante delusioni, chi non ha raggiunto la gioia ma ha dovuto barcamenarsi tra le incombenze di una vita difficile, chi non ha  mai trovato una morale, chi non è riuscito a rifugiarsi nell'arte, chi non ha dato un significato trascendente alla propria vita, chi non ha trovato il senso della solidarietà e dell'aiuto come fuoco caldo di ristoro, chiunque abbia perso la religione come la fede nell'amore, chiunque sia rimasto per troppo tempo da solo con se stesso fino a sperimentare l'horror vacui, chiunque abbia guardato alle ombre per troppo tempo e sia rimasto ferito dalla luce, chiunque tutto questo, semplicemente, se ne sta in silenzio, non parla più. Guarda dritto davanti a sé, ma non vede nulla. Nessuna follia a colori squarcerà il velo della sua indifferenza. Nessun conforto gli porterà sollievo. 


Mi chiedo, il suo è un silenzio innocente?


Questa domanda mi desta da un lungo letargo. E' sopraggiunta quasi all'improvviso, ed è divenuta un post. 

Se l'uomo è artefice del proprio destino, allora anche l'innocente lo è. E se l'innocente può rimproverarsi delle colpe, allora quali sono le colpe dell'innocente? E' forse una colpa la fragilità dell'innocente? E' forse una colpa esser nato in una famiglia piuttosto che in un'altra? E' una colpa non aver ricevuto amore abbastanza da poterci credere ancora nell'amore? E' una colpa aver subito violenza? E' una colpa trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato? E' una colpa finire stritolati nell'abbraccio mortale di carnefici travestiti da angeli, vittime pure loro ma incapaci di accettare la propria condizione fino al punto di infliggerla ad altri? E' una colpa da ricercare, in fondo, la morte?


Le vittime innocenti sono agnellini in procinto di morire, quando non gridano più. Questo è un post inquietante, mi rendo conto,  ma talvolta la profondità ha un prezzo.


Di seguito uno spezzone tratto dal film "Il silenzio degli innocenti". Lo riporto per alleggerire la tensione che avverto nell'aria. :)









domenica 7 aprile 2019

La muta dell'anima




Non mi sento più l'anima. Già, l'anima di prima, l'anima che mi portava a scrivere in un certo modo, a vivere in un certo modo, adesso non c'è più. Le cose, gli eventi, le persone mi appaiono lontane, come se mi fosse impossibile connettermi con loro come facevo in passato, con entusiasmo infantile, desiderio, passione e, dopotutto, sincero interesse. L'altra volta leggevo che, mediamente, è a trentasette anni che ci si rende conto di essere adulti, e che tutto ciò che prima contava a dismisura, da quel momento non conta più. Come se a quell'età si realizzasse una muta, e una nuova pelle si sostituisse alla precedente. La pelle dei serpenti è composta da due strati distinti, il derma, lo strato più profondo, e l'epidermide, lo strato più superficiale. Durante la muta, i serpenti cambiano soltanto l'epidermide e non il derma, liberandosi dello strato vecchio sotto il quale si è formato lo strato nuovo. Per fattori legati all’accrescimento a quanto pare. Da sempre mi affascina il fenomeno della muta, ma soltanto adesso capisco perché. Questo interessante fenomeno riguarda anche l'uomo. Ciò che nei serpenti si realizza a livello superficiale però, nell'uomo si realizza a un altro livello, più in profondità.


Come muta la pelle, muta l'anima, e forse è per questo che non mi sento più l'anima, perché quella di prima, semplicemente, non c'è più. Adesso mi trovo a convivere con un'altra anima, un'anima che si è sostituita alla precedente, un'anima che ancora non conosco. Si è fatta spazio lentamente, con una regalità che mi ha lasciato di stucco. Lei si muove al di sopra dei pensieri della gente, non è interessata al giudizio degli altri. E' severa ma composta, pacata e ordinata, ma distante. Non viene raggiunta e non raggiunge. Se ne sta lontana, in un mondo tutto suo. E' indecisa, non sa dove riversarsi, ma d'altra parte non vuole più spendersi in battaglie che non sono le sue. E' orgogliosa, si vuole bene, si concede qualche trasgressione, ma lo fa sapendo che non ha più bisogno di trasgredire, come per una necessità di sperimentarsi nelle situazioni che coinvolgevano l'altra anima, quella che adesso non c'è più, come per una necessità di scoprirsi diversa. Migliore forse. Guida il corpo con attenzione, per evitargli infortuni, e respira, respira a pieni polmoni, senza più intossicarsi di male. Ha riscoperto una nuova purezza, e non vuole macchiarsi di colpe che imporrebbero alla coscienza di fare nuovamente i conti con se stessa.  E' rispettosa, e pretende rispetto. Dà molto, e pretende molto, che poi quel "molto" che pretende, non è altro che affetto. Ecco, quest'anima che ancora non conosco ma che mi porto dentro già da un po', è alla ricerca di relazioni vere, di persone vere, di gioie e sorrisi, di minuti buoni spesi bene, di occhi sinceri, di allegria, di risate che non abbiano nulla dell'euforia dei tempi passati, ma che provengano dal cuore, di amori forti, tenaci e mai violenti. E' un'anima che sente freddo quando c'è freddo, e caldo quando fa caldo, e per quanto banale possa sembrare questo elemento, forse, tra tutti, io dico, è il più importante. E' un'anima che è connessa col clima, con i movimenti terrestri, coi cieli azzurri e quelli grigi, un'anima che gode del sole ma non si scotta, che assapora ma non cerca per forza la sazietà, è un'anima che conosce il valore del digiuno, non si lascia andare a facili entusiasmi, ed è parca di carezze, nel senso che non le regala e nemmeno le elemosina. Quest'anima mi ha chiesto il permesso di entrare nella mia vita. Le ho risposto che poteva farsi strada, che poteva sostituire del tutto la vecchia se l'avesse ritenuto necessario. Mi sono affidato a lei, l'ho chiamata la mia regina. E adesso è qui con me, anche mentre scrivo. Non la conosco ancora, è vero, ma ho imparato ad apprezzare i suoi silenzi, e a darle voce quando ha qualcosa di importante da dirmi. Ho imparato a vivere senza nulla toglierle, e questo mi rende orgoglioso, a prescindere da ciò che la vita in questo momento ha da offrirmi, che come sempre non è molto, ma non è nemmeno poco. Sento che non somiglia, quest'anima, né alla Mia Martini di Minuetto, né alla Sally di Vasco. Della prima non ha il desiderio di perdersi nell'amore costi quel che costi, della seconda non ha il viso provato dai fallimenti della vita.

























Sembra che abbia perso un po' di energia vitale quest'anima, ma non è così. E' semplicemente cresciuta in consapevolezza, e ha desideri più grandi.



E voi che mi dite? Che cosa è successo, in tutti questi anni, alla vostra anima? L'avete fatta la muta dell'anima, o stiracchiate ancora la precedente, come un vestito che debba starvi bene per forza? Avete ancora paura di crescere, oppure avete già trovato, nel vostro cuore, una nuova canzone?












venerdì 25 gennaio 2019

Come nelle favole


- Arnold, iniziamo una relazione, okay?
- … Vale a dire?
- Oh, non fare il "diffidente". Cosa vorrà mai dire, secondo te? Una "relazione". Tu trombi solo con me e io trombo solo con te.
- Tutto qui?
- Be', certo, in gran parte. E io ti telefono anche un casino durante la giornata. E' tipo una paranoia… non posso dire "neppure" paranoia? Okay, è una "compulsione". Okay? Cioè è tipo una faccenda che non posso farne a meno. Cioè ti telefonerò in ufficio un "casino". Perché mi gira bene che tutti sanno che appartengo a qualcuno. Questo l'ho imparato dai cinquantamila dollari che ho passato allo strizzacervelli. Cioè tutte le volte che ho un lavoro, tipo che appena arrivo, ti chiamo e ti dico ti amo. E' coerente?
- Certo.
- Perché è proprio quello che voglio essere: "così" coerente.


Ma quand'è che siamo divenuti "un casino" coi sentimenti? Da quando, cioè, non abbiamo più nemmeno la pallida idea di che cosa significhi stare in relazione? Costruiamo delle relazioni che si basano sull'affinità privilegiata del buon sesso e delle risate, delle cose da fare insieme per occupare meglio il tempo, è vero, ma anche sui patti poco chiari della durata di un'emozione, del non importa che vi sia un sodalizio di intenti, una visione comune, un'etica da rispettare, una morale da condividere. "Mai", come fosse una minaccia insopportabile, un insulto alla libertà sancita dal nostro egoismo, il definirsi, semplicemente, due persone che stanno insieme. Che stanno bene insieme. Mai definirsi, mai giudicarsi coppia, cappio, coppia cappio, quasi due sinonimi, come se la coppia fosse un cappio che toglie l'aria e impone la morte. Già, l'amore come la paura di morire, e dall'altra parte, il desiderio continuo di ciò che non abbiamo o che desideriamo come la relazione ideale, perennemente appagante, felice fino al parossismo. Intollerabile perché irreale. L'altra faccia della stessa paura.


Così scappiamo, perché ce la facciamo sotto. Ci creiamo comodi rifugi della mente, ci convinciamo che non ci sia sentimento che valga la pena, che la vita scivola via e dobbiamo afferrarla in qualsiasi modo, da soli. Che la bellezza sia l'eterno valore, e che la gioventù perpetua e il godimento siano le uniche soluzioni per una vita degna di essere vissuta, digerita, metabolizzata. Eliminata.


Succede che io preferisca la bellezza e la sensualità alla bruttezza e alla frigidità, perciò dove sta la tragedia? Che bisogno c'è di vestirmi come un burino di Las Vegas? Perché deve incatenarmi a una tazza del gabinetto per l'eternità? Per avere amato una ragazza allegra? - Amare? Tu? Ma vattene! Amare "se stessi", ragazzo, ecco come lo chiamo io! Con un "sé" a lettere maiuscole! Il tuo cuore è un frigorifero vuoto! Il tuo sangue scorre in cubetti! Mi stupisco che tu non cigoli quando cammini! La cosiddetta ragazza allegra - come minimo, allegra! - è stata semplicemente un'altra tacca bella grossa sul tuo uccello, "e tale è il suo unico significato", Alexander Portnoy! Che fine ha fatto la "tua" promessa? Disgustoso! Amore? A come amoralità. A come autofilia!


Ecco cosa succede nell'animo di chi non sa amare. Il riconoscimento disperato di un inganno rivolto a se stessi. Un barlume di coscienza nel buio della desolazione. L'orgoglio che cerca di spezzare il dolore del deficit, della mancanza dell'amore. Una battaglia persa in partenza.


Tutti gli errori sono dei genitori, vero Alex? Le cose negative sono colpa loro, quelle positive sono merito tuo! Ignorante! Senzacuore! Perché sei incatenato a un cesso? Te lo dico io: legge del contrappasso. Così ti potrai menare il bigolo fino alla fine dei tempi! Spugnettarti il tuo prezioso pistolino ad infinitum! Avanti, masturbati, Commissario, che è poi l'unica cosa a cui ti sei donato anima e corpo: il tuo fetente uccello!


Dopo  che la coscienza ci ha demolito l'orgoglio, dopo che abbiamo vomitato tutto il nostro dolore nel cesso, siamo pronti per ripartire. Mettiamo un po' di amore verso noi stessi nel motore, e ricominciamo a sognare, a fantasticare, perché nelle favole in cui crediamo c'è la parte più bella di noi, tutta la nostalgia dell'amore che non possiamo provare. Vero Alex?











Ps: in corsivo, dei passi tratti da: "Lamento di Portnoy", di Philip Roth.