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domenica 18 febbraio 2018

Iniettami in vena l'amore


Facile parlare di dipendenza. Difficile comprenderla. Per capirla fino in fondo, dovremmo essere capaci di riconoscere dentro di noi l'esistenza di uno spazio oscuro, un antro buio, un luogo disabitato, freddo e inospitale che solo chi ha sofferto o soffre riconosce, non come un luogo della coscienza, ma dell'incoscienza, un'area pesante al cuore che non consente di amare.

Dunque, comprende la dipendenza solo chi riconosce dentro di sé uno spazio vuoto. Cosa ha generato questo spazio? E che luogo è? Lo spazio di cui parlo è il luogo creato dalla sofferenza. La sofferenza dell'abbandono, del tradimento, dell'incomprensione, dell'amore che abbiamo riposto nelle persone sbagliate e che si è perso, delle violenze e dei soprusi, dei bisogni non riconosciuti, del latte che avremmo voluto alla bocca e che non era mai abbastanza, delle lacrime, delle guerre e delle domande senza risposta.

La sofferenza di cui parlo è una voragine, una voragine di paura, ansia, diffidenza, disperazione, dolore. Una voragine che genera orrore.

Non è possibile convivere con questa voragine. Prima o poi tutta l' anima per intero vi scivola dentro. Sì, perché la voragine ha le stesse proprietà di un gorgo. Risucchia tutte le energie. Come un buco nero di portata cosmica.

La coscienza, l'essenza di ciò che siamo o percepiamo di essere, la nostra volontà, tenta di rimediare a questa falla. Decide allora di occuparla con qualcosa che ci dia un'impressione di sostanza. Ci prova con l'amore in prima istanza. Il problema è che si rivela presto difficile trovare amore puro. Amore di prima qualità. Amore decontaminato di sostanze tossiche, i pensieri nostri più neri. E allora, piuttosto che iniettarci in vena l'amore, proviamo con la droga. E la droga, lo sappiamo, si prende tutto di noi. In primis, la dignità.

Riporto qui di seguito uno stralcio de "Il quaderno di Maya", di Isabel Allende.


I bagni pubblici erano antri per delinquenti e pervertiti, ma non c'era altra soluzione che tapparsi il naso e usarli, visto che quelli di un negozio o di un albergo erano ormai fuori dalla mia portata, mi avrebbero buttato fuori a spintoni. Non avevo accesso nemmeno ai bagni delle pompe di benzina, perché i dipendenti si rifiutavano di darmi la chiave. Così iniziai a scendere rapidamente i gradini dell'inferno, come tanti altri esseri abietti che sopravvivevano per strada mendicando e rubando per una manciata di crack, un po' di metanfetamine o di un acido, di un sorso di qualcosa di forte, aspro, spietato. Più l'alcol è economico e più è efficace, esattamente quello di cui avevo bisogno [...] non posso rievocare con chiarezza come sopravvivevo, ma mi ricordo bene i brevi istanti di euforia seguiti dalle indegne battute di caccia per trovare un'altra dose.  [...] se avevo soldi compravo tacos, burritos o hamburger che vomitavo subito dopo, in ginocchio, per strada, con interminabili conati, lo stomaco in fiamme, la bocca ferita, piaghe sulle labbra e sul naso, niente di pulito né di bello, vetri rotti, scarafaggi, bidoni della spazzatura, non un solo viso nella folla che mi sorridesse, nemmeno una mano che mi aiutasse, il mondo intero era popolato da trafficanti, tossici, magnaccia, ladri, criminali, puttane e pazzi. Mi doleva tutto il corpo. Odiavo questo corpo di merda, odiavo questa vita di merda, odiavo essere priva di quella merdosa volontà di salvarmi, odiavo la mia anima di merda, il mio destino di merda.

In questo passo Maya ha scelto di vivere in un luogo desolato, lontana dai suoi cari, al freddo dell'indifferenza, strisciante di odio per se stessa e disperazione. Quei bagni pubblici, quei gradini che calpesta fino all'inferno, sono il luogo in cui si riconosce, il luogo che meglio rappresenta il gorgo che si porta dentro. Maya è una ragazza intelligente, che ama scrivere, e intanto è finita lì, stuprata dal suo demone.

Non possiamo comprendere la dipendenza se non capiamo Maya. Maya è l'anima nostra nuda d'amore. Maya è indifesa, fragile. Maya è il fantasma che aleggia nella nostra coscienza. Maya ha paura di affidarsi alle braccia forti di qualcuno. Maya non si fida più di nessuno. Maya è la vita e il contrario della vita. Maya è una storia che nessuno di noi può scordarsi. 

Perdonatemi se vi ho reso tristi. Ma volevo che ciascuno di voi, almeno con la pancia, impattasse la fragilità dell'uomo. La fragilità di Maya può diventare la nostra in qualsiasi momento. Abbiamo bisogno degli altri. Negare questo bisogno, negare di essere naturalmente dipendenti, può portarci alla rovina. 



Negare il nostro bisogno d'amore, non ci farà mai salvi. 

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